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Balzola

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Dal libro “Balzola nella storia del Vercellese e del Monferrato” di Idro Grignolio , editore Donna e Giachetti
Sicuramente occupato da popolazioni celtiche in epoca romana era interessato dalla Strada di Antonino Pio che provenendo da Ticinum (Pavia); per Lomello, Cozzo arrivava a Carbantia (quasi sicuramente l’attuale Balzola) per Rigomago (Trino vecchio, Ceste, Quadrata e Augusta Taurinorum). Infatti nel territorio balzolese si sono trovate necropoli, con tombe arredate ed anche armi. Il toponimo Balzola – secondo elementari interpretazioni ottocentesche – potrebbe derivare dalle balze del Po ma è più attendibile la derivazione dal vocabolo barbarico balbatio o baltio equivalente a terra bassa.

I figli di Guidone di Balzola si erano schierati (con molti altri) a fianco del margravio Arduino d’Ivrea e dopo la sua caduta vennero esautorati. Balzola appartenne pertanto alle famiglie cellesi dei Tizzoni e Avogadri. Poi fu dei Corradi di Lignina, dei Biandrate e nel ‘600 dei Fassati prima con titolo comitale e successivamente marchionale. I Marchesi di Monferrato, di stirpe Aleramica possedevano, forse per sicurezza maggiore, anche la riva sinistra del Po, e pertanto Balzola seguì le sorti delle vicende derivanti dal passaggio nel 1305 dagli aleramici ai Paleologi di Bisanzio.

Fu quindi soggetta ai Visconti e donata , su pressione di Facino Cane, da Caterina Visconti al marchese Teodoro II Paleologo. Insensibile fu certo il passaggio dai Paleologi ai Gonzaga di Mantova, dopo la definitiva sentenza di Carlo V nel 1536.
A cominciare dalla guerra scatenata dal duca di Savoia nel 1613 per la successione al ducato di Mantova e Monferrato, il territorio balzolese subì occupazioni e soprusi da ciascuna della parti in guerra, anche dai francesi in lotta per la supremazia in Italia. Il borgo subì gravi infezioni di peste portata dai soldati, tanto che con atto notarile (15.11.1652) la comunità si dedicava alla protezione di S.Rocco.

Con l’esautorazione del duca Ferdinando Carlo Gonzaga la zona passava a Vittorio Amedeo II, come l’intero Monferrato, ed i Fassati erano i feudatari di Balzola.

In paese esisteva una chiesetta antica dedicata a S.Michele (protettore della nazione longobarda) ed i Fassati la fecero ricostruire abbellendola con quattro grandi tele, del Guala, il più importante pittore del settecento piemontese. I Fassati si impegnavano altresì nella erezione della grande chiesa parrocchiale dedicata a S. Maria Assunta , su progetto del conte Ottavio Francesco Magnocavalli (consacrata il 20.9.1778).

Con l’occupazione francese del 1799 a Balzola si insediò il primo “maire” (sindaco), il Dott. Giuseppe Grignolio e come segretario il notaio Carlo Gilardino.

Alle guerre napoleoniche parteciparono numerosi balzolesi, fra i quali gli ufficiali Francesco (morto a Dresda) e Dott. Dalmazzo Sancio, fratelli. Il Dott. Salcio già medico militare nell’Armée d’Italie, fu appassionato storico dell’ambiente casalese ed umanista di valore (al suo nome è intitolata ora la Biblioteca Comunale).

Con la caduta di Napoleone il Piemonte ritornava a i Savoia, ed a Torino fecero capo tutte le attività personali e sociali dei balzolesi.

A Balzola esisteva il castello dei Tizzoni, trasformato nei secoli e riadattato alla fine del ‘700 dai Fassati; mai abitato ed andato in gran parte in fatiscenza. Negli anni ’30 il comm. Giovanni Grignolio faceva erigere un bel castello in stile neo-gotico, che rosseggiante nei mattoni a vista troneggia ancora ora.

CASTELLO FASSATI

Dal Castrum de Balzola e a ciò che Vediamo Oggi
Il primo castello di Balzola è stato edificato presumibilmente intorno all’anno mille, in quanto viene citato un “Castrum de Balzolae” in documenti risalenti circa all’anno 1100. A quanto ne sappiamo era opera dei Tizzoni, Signori (tra le altre cose) di Balzola dopo le lotte contro gli Avogadri per l’acquisizione del contado. Il castello era composto da quattro torrioni d’angolo raccordati ad una struttura centrale, e circondato da un fossato creato da una deviazione della Stura. Oggi non esiste più, ma fino al 1936 uno dei torrioni era ancora presente, adibito a ghiacciaia pubblica, e fu poi abbattuto. Dal 1619 i Fassati acquistano il feudo di Balzola e ne diventano prima i duchi e poi, verso la fine del secolo, marchesi. Allora erano residenti in diversi dei loro castelli, anche se principalmente nel castello Fassati di Casale. Verso la fine del ‘700 il gusto e le esigenze abitative cambiarono, portando molti nobili a ristrutturare, o abbattere e ricostruire, i loro castelli. Tale uso non risparmiò Balzola, per questa ragione il vecchio castello, già in avanzato stato di deperimento, venne abbattuto e al suo posto, nelle vicinanze, venne edificato il Castello Fassati, che purtroppo non fu mai abitato.
Il Palazzo Prima e Dopo il 1971
Il castello Fassati non fu mai ultimato, anche se i lavori continuarono a più riprese per buona parte del 1800. Si suppone sia opera dell’architetto Agostino Vitoli, e ha l’aspetto di una palazzina settecentesca, di pianta rettangolare, con la facciata divisa in tre ordini. L’ordine inferiore prevede un portico costituito di numerose arcate a tutto sesto, il secondo che presenta numerose finestre e l’ultimo, quello superiore, con due parti laterali che si innalzano e una centrale che termina con un timpano triangolare. Questo era il castello prima del 1971, dove subì, in un paio di riprese, il crollo della parte anteriore, con il disfacimento della facciata. Non essendo mai stato ultimato, il palazzo è purtroppo privo di ogni valore artistico, e ora non ne rimangono che i ruderi.

CASTELLO GRIGNOLIO

La Storia
Il castello Grignolio fu iniziato intorno alla fine degli anni ’20 del secolo scorso, come frutto del ritorno allo stile medioevale tipico del gusto tardoromantico del tempo. Questa ripresa dell’architettura dell’età di mezzo, in particolare quella gotica, investì anche il nostro paese e da qui l’idea di Giovanni Grignolio, insieme alla moglie Lina Mugetti, di comprare la vecchia ghiacciaia pubblica, interrata in una “muntagn’ta” (come detto dal nostro storico Idro Grignolio), e far edificare su quel terreno un castello in stile neogotico. La struttura fu inaugurata dai committenti nel 1940, anno di inizio della seconda guerra mondiale. Durante questo periodo il castello, fortunatamente per un breve lasso di tempo, fu utilizzato come comando da tre ufficiali tedeschi, che installarono sulla torre più alta delle rudimentali apparecchiature radar per l’ascolto antiaereo. Attualmente il castello è proprietà di una coppia che dal 2007, anno nel quale l’hanno comprato, lo sottopone a continue opere di restauro al fine di mantenerne vivo lo splendore. Dal 2021, poi, è anche possibile sposarsi civilmente al suo interno, per chi volesse dare al suo matrimonio un tocco magico in più.

L’Esterno
La struttura è stata progettata dall’arch. Carrera di Torino, e presenta un muro di cinta merlato alla guelfa, che delimita la proprietà. All’interno di questo muro un favoloso giardino, che contribuisce a dare al castello quell’aria fiabesca che ci circonda appena oltrepassiamo il portone. Possiamo notare poi come la costruzione sia alta e imponente, sviluppata su 30 metri di altezza, con 3 torrioni merlati alla ghibellina, un giardino pensile, cortili a piani sfalsati, balconi in pietra bianca di Millesimo. Bianca è anche la pietra che compone le colonne delle eleganti bifore che percorrono tutta l’altezza dell’edificio, colore che risalta sul rosso dei mattoni conferendogli una sobria luminosità. A dare poi un tocco colorato al castello ci pensano le vetrate a piombo, opera della Vetreria Janni di Torino, e gli affreschi, opera di Angelo Bigatto. Queste due caratteristiche hanno come risultato il vivacizzare la struttura esterna del castello, e spezzare la monotonia del colore rosso del mattone utilizzato dalla ditta Balzolese di muratori Farello & C., che ha costruito l’edificio. Dotato di rampe esterne di scale con bellissima pavimentazione decorata, si possono poi osservare le sue porte sormontate da archi a sesto acuto, tipici dello stile prima gotico e poi neogotico, ad impreziosire ulteriormente la costruzione.

Gli Interni
Internamente il castello è conservato alla perfezione, grazie in buona parte alle opere di restauro applicate sia dagli attuali proprietari che da alcuni precedenti, ed è questo uno dei punti di forza della una struttura, ormai quasi centenaria. La costruzione si sviluppa su otto piani, contando una ventina di stanze tra saloni e sale. Lungo tutto il percorso all’interno dell’edificio, immersi nell’atmosfera medioevaleggiante suggerita, tra le altre cose, dai grandi camini in pietra e dai mobili, saremo sempre accompagnati dagli affreschi di Angelo Bigatto che vanno a decorare molti punti del castello. A rafforzare l’immersione nel passato contribuisce anche l’armeria, che conteneva addirittura armature bresciane del ‘500 e panoplie di armi. Tutti i mobili in stile gotico sono opera dei Balzolesi Aldo Boggione e Giovanni Biginelli, e parliamo di armadi, cassoni, letti a baldacchino, contemporaneamente imponenti e suggestivi, disposti secondo l’idea del Bigatto. I bellissimi lampadari, in ferro battuto e vetro di Murano, colorano le varie sale e corridoi, pavimentate con preziosi parquet e impreziosite ancora da alcuni oggetti antichi provenienti dall’antica necropoli di Carbantia (il primo centro romano del nostro paese).

La Cappella
Di particolare importanza all’interno del castello Grignolio è la cappelletta interna, consacrata e quindi utilizzabile per i riti cattolici. Possiede graziose vetrate colorate, visibili anche dall’esterno, progettati dal prof. Siletti di Torino. Per quanto piccola (possiede infatti un altare, una piccola balaustra che lo divide dalla navata dove è presente un solo banco), la cappella offre numerosi punti di forza, apprezzabile ad esempio il soffitto a cassettoni, riccamente decorato, come anche le pareti. L’altare è bianco e decorato a bassorilievo. Possiamo notare come i committenti, Giovanni Grignolio e la moglie, Lina Mugetti, si siano fatti ricordare proprio in questo luogo del castello. Il primo è ricordato in un cartiglio posto sotto lo stemma di un leone rampante, la seconda sull’unico banco. In generale, la cappella risulta piena di colore e molto graziosa, perfetta per la sua attività di chiesetta familiare privata.

CHIESA DI SAN MICHELE

San Michele divenne il protettore della nazione Longobarda, con il rito dell’esaugurazione a Pavia (loro capitale) gli vennero dedicate ben sette chiese. Si ritiene che la prima chiesetta dedicata a San Michele in Balzola sia la ricostruzione di un tempietto di antica devozione. La sua immagine venne posta sugli stendardi e sulle monete. Ovunque anche in Monferrato.
Pertanto si ritenne che la prima chiesetta dedicata a San Michele in Balzola sia la ricostruzione di un tempietto di antica devozione.
Si hanno notizie storiche risalenti al 1619 (da un’indulgenza concessa dal Papa Paolo V alla Congregazione dei Santi Angeli Custodi eretta in San Michele a Balzola, ma furono i Marchesi Fassati, feudatari del Castello e dei terreni vicini (alcuni dei quali erano Priori nella Confraternita di San Michele di Casale Monferrato), che la fecero ricostruire nella foggia ottagonale uguale a quella casalese.
La facciata molto elegante disegnata da G.B. Scapitta disegnata pe la chiesa di Casale e non realizzata.
Il tempietto in stile barocco è molto accogliente. Graziosi gli altari con paliotti intarsiati policromi di F. Sala. Ma l’importanza maggiore è data da quattro grandi tele di Pier Francesco Guala (1698/1757) il più importante artista piemontese della sua epoca. Essi rappresentano: l’Arcangelo Michele, l’Arcangelo Gabriele e l’Infanzia, il Miracolo di San Bovone, la Scala di Giacobbe.
Nella chiesetta vi è anche una pala effigiante la Vergine e Sant’Agostino, una tela con san Bovone che benedice gli animali, un quadro con la Vergine e tutti i Santi (fra cui San Sebastiano antico patrono del paese).
Importante pezzo conservato dietro all’altare maggiore è un bassorilievo in marmo del sec. XV raffigurante San Michele con la bilancia in mano proveniente dallo smantellato altar maggiore del Duomo di Casale Monferrato.

CHIESA PARROCCHIALE DELL’ASSUNTA

La Storia: dalla Prima Chiesa a Oggi
La prima chiesa del nostro paese ha origini molto remote, forse quasi quanto il culto cristiano stesso, ed era connessa ad una collegiata plebana di 7 canonici e un prevosto. Nel 1474 la collegiata venne soppressa dopo la creazione della diocesi di Casale e Balzola rimase per questo senza parroco, il cui compito veniva svolto, dal punto di vista direttivo, dal Vescovo di Casale, e dal punto di vista delle celebrazioni da un Vicario movibile che viveva delle sole elargizioni della comunità. Per ribellarsi a questo stato delle cose, un gruppo di Balzolesi incendiò la chiesa, che non fu ricostruita per il secolo successivo, obbligando tutta la comunità a servirsi della chiesetta campestre di S. Martino, oggi non più esistente. Solo nel 1596 la chiesa venne ricostruita a spese di mons. Benedetto Erba, allora Vescovo di Casale. La chiesa venne utilizzata fino alla seconda metà del ‘700 quando, a causa dell’aumento della popolazione, divenne insufficiente e venne dunque progettato un nuovo edificio da Francesco Magnocavalli, che venne realizzato grazie al contributo della popolazione e del Marchese Bonifacio Fassati. Nel 1777 venne completato il campanile e, l’anno successivo, la chiesa venne consacrata (come visibile anche dall’iscrizione presente nel timpano). Solo in tempi successivi, nel 1847, le cinque campane furono poste sul campanile. Nel 1943 furono rimosse “per costruire cannoni”, ma nel giro di pochi mesi furono riposte sulla cima della torre campanaria.

La Struttura e l’Esterno
La nuova chiesa venne progettata come una croce greca inscritta in un rettangolo, che va a concludersi all’estremità con un presbiterio quadrato coperto da una volta e infine con un’abside semicircolare. Inizialmente la struttura frontale esterna prevedeva, oltre alla maestosa facciata, un muricciolo che delimitasse il sagrato antistante la chiesa, muricciolo costruito nel ‘700 ma successivamente abbattuto negli anni ’20 del secolo scorso. La facciata si presenta divisa in due ordini, quello superiore, avente una finta finestra centrale e due nicchie, è sovrastato da un grande timpano, mentre quello inferiore si allarga con due parti laterali concave, sovrastate da una balaustra, e possiede, oltre al grandioso portone ligneo, altre quattro nicchie. Elemento decorativo di spicco sono poi le lesene, ossia i semi-pilastri che sporgono, quattro delle quali si estendono all’ordine superiore. Tutte le sei nicchie presenti sono mancanti delle relative statue, probabilmente sono quindi state create solo per dare un maggiore contrasto chiaroscurale alla facciata.

L’Organo
Entriamo ora all’interno della chiesa e superiamo le colonne all’ingresso. Voltandoci si parerà, in alto davanti a noi, il prezioso organo di cui è dotato la chiesa, fabbricato da Andrea Luigi e Giuseppe Antonio Serassi nel 1780. Sono ben visibili le canne, incorniciate da due pilastri e sormontate da un grande timpano, che presenta tre statue di angeli sulla sommità dei suoi vertici. A legare ulteriormente la composizione, le decorazioni dorate presenti negli angoli. Questa struttura permette all’organo di avere un aspetto sobrio e composto, senza mancare però della sua maestosità. L’organo è stato restaurato a più riprese a partire dalla prima metà del XIX secolo, l’ultimo intervento è stato nel 1984.

Le Cappelle Laterali
Prima di dirigerci verso l’altare maggiore attraverso la navata centrale, passiamo ai due lati per ammirare le sei cappelle laterali. Iniziando dal lato destro, troviamo per prima la cappella di S. Lucia, con un grazioso altare di stucco dove si trova anche una pala d’altare raffigurante la Sacra Famiglia con le Ss. Lucia, Liberata, Agata e Apollonia e, intorno, decorazioni ad affresco. Proseguiamo sempre sul lato destro, arrivando alla cappella dedicata a S. Rocco, dove troviamo, oltre ad un altro altarino in stucco, anche una tela dipinta da Orsola Caccia e suo padre Guglielmo, raffigurante la Madonna col Bambino e i Ss. Rocco, Sebastiano e Grato. L’ultima cappella del lato destro è quella di S. Antonio, la più semplice di queste tre, con un altarino in marmo e una statua lignea del santo. Passiamo ora al lato sinistro, dove troviamo, per prima, la cappella di S. Pietro, con un altare in stucco e una nuova pala della vocazione di S. Pietro, dipinta dal pittore Emilio Massazza e sostituita all’originale bruciata nel 1850. La seconda cappella, dedicata al S. Rosario, presenta un altare in stucco identico a quello di S. Rocco, oltre che una tela, di autore sconosciuto (ma è di certo settecentesca), raffigurante la Madonna del Rosario coi Ss. Domenico e Caterina da Siena. In ultimo, sul lato sinistro, troviamo la cappella del crocifisso o dell’Addolorata, dove troviamo un grande crocifisso ligneo a grandezza naturale, di dubbia attribuzione ai Cassini e, in una nicchia della parete destra, una statua dell’Addolorata. Nelle varie cappelle sono poi disseminate diverse quadrature settecentesche, cioè affreschi che mostrano spazi molto ampi ed elementi architettonici, il tutto in un gioco di prospettive che inganna l’occhio distorcendo la percezione dello spazio. In particolare, queste quadrature sono opera di Francesco Guala.

Il Pulpito Ligneo
Sporgente da una parete del lato sinistro, tra le cappelle del S. Rosario e dell’Addolorata, possiamo vedere il bellissimo pulpito, oggi non utilizzato, costituito di legno intagliato, opera attribuibile con ogni probabilità a Giovan Battista Gasparini, autore anche del pulpito della chiesa di S. Domenico di Casale e confrontabile con questo.

La Via Crucis
Sui pilastri che separano la navata centrale dalle cappelle laterali, troviamo le stazioni della via crucis, come rappresentazioni pittoriche incorniciate in strutture lignee riccamente decorate. Le varie stazioni, disposte in modo da seguire uno specifico percorso, sono tutte opere di Mario Micheletti (1892-1973), e di conseguenza molto successive alla costruzione della chiesa. Una particolarità di questi dipinti sono i modelli, per gli angioletti sono infatti stati presi dei bambini dell’Asilo.

I Grandi Affreschi
A differenza delle pareti della navata centrale, dipinte semplicemente, la cupola, il presbiterio e l’abside sono riccamente affrescate, dallo stesso Mario Micheletti, tra il 1943 e il 1945. Prima di questa data tra l’abside e il presbiterio vi era collocato un grande padiglione color granata, che pendeva da una grande corona e, aprendosi verso il baso, dava l’illusione di essere la veste della Madonna incoronata. Tale padiglione è stato poi rimosso per mettere in evidenza gli affreschi nell’abside retrostante. Gli affreschi del Micheletti rappresentano, nel presbiterio, diverse scene bibliche, mentre nell’abside troviamo l’assunzione di Maria, con ardite prospettive della Madonna.